Vorrei condividere il mio pensiero di padre, di uomo innanzitutto e di medico poi, riguardo alla votazione sulla modifica della legge federale sulla medicina della procreazione (LPAM) del prossimo 5 giugno. Brevemente vi racconto la mia esperienza. Insieme a mia moglie abbiamo scelto di accogliere senza condizioni il nostro secondo figlio, nonostante una diagnosi tramite ecografia durante il quarto mese di gravidanza di una malformazione molto grave, che dava poche speranze di sopravvivenza alla nascita. Diagnosi che tra l’altro la DPI non avrebbe riscontrato, essendo questa una malformazione non genetica. Oggi, dopo quattro operazioni, nostro figlio ha 5 anni, è sano e felice, motivo di grandissima gioia e di crescita umana di tutta la nostra famiglia.

La fecondazione medica assistita presenta in sé problemi di natura scientifica, prima ancora che umana ed etica. Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato che le probabilità che un bambino concepito mediante fecondazione assistita nasca sano sono decisamente inferiori, se l’embrione è stato sottoposto a DPI. Il suo effetto positivo non è stato ancora comprovato. Le attuali esperienze mostrano che il 40% degli embrioni valutati come adatti all’impianto non riescono ad annidarsi, perché sono stati feriti durante la DPI.

La diagnosi pre-impianto non garantisce un bimbo sano. Molte disabilità (il 97% dei casi) infatti non sono genetiche, ma si formano durante la gravidanza, durante o dopo il parto. E’ quindi un’illusione che disabilità o malattie possano essere evitate. La medicina deve invece curare la malattia e non eliminare il malato. Anziché favorire la ricerca di nuove terapie, la DPI promuove l’eliminazione di chi potrebbe essere malato o portatore di handicap.

Questa nuova legge introduce un cambiamento fondamentale nel rapporto con la vita umana. Per la prima volta la vita umana, nella sua fase iniziale, potrebbe essere soggetta ad un giudizio o mercificata. Ecco perché bisogna rifiutarla non solo per via della dignità umana, ma anche per una questione di equità. Chi ha il diritto di dire: “Tu non sei un embrione ‘modello’, quindi ti elimino!”.

Votando no, vogliamo dimostrare l’attaccamento alla vita e la volontà di difenderla, sempre e comunque, nonostante la malattia o l’handicap: anzi, potremmo ben dire, a maggior ragione, quando la persona è debole, è ancor più bisognosa del nostro intervento di amore. Siamo fatti per difendere i più deboli, non per eliminarli; per guardare il volto dei nostri malati e sentire il loro sguardo come prezioso per la nostra società; per dare spazio a quella creatività tutta umana che, da millenni, sa superare gli ostacoli con la forza dell’intelligenza e, perché no, della fede.

Votiamo dunque NO, per dire sì alla vita.

 

Dr. med. Mirko Molina, Bellinzona