Due fratelli vogliono impedire il suicidio assistito del parente maggiore e denunciano l’associazione Exit: “Non è in fin di vita e non è stato ascoltato da uno psicologo”.

Il Tribunale civile di Ginevra si è occupato ieri della denuncia presentata da due fratelli contro l’associazione Exit, con l’obiettivo di impedire al fratello maggiore di 82 anni di ricorrere all’assistenza al suicidio. La morte del pensionato era prevista il 18 ottobre, ma la giustizia è intervenuta per ascoltare le parti in causa. Poco prima dell’udienza i tre fratelli si sono abbracciati affettuosamente. Il soggetto della causa ha poi presentato ai suoi fratelli minori i rappresentanti dell’Associazione per il diritto di morire nella dignità (Exit). La presidente del Tribunale ha ascoltato le posizioni a porte chiuse per un’ora e mezza mentre le arringhe degli avvocati si sono svolte in assenza dei tre fratelli, alla presenza del pubblico.

I criteri sono stati allentati

L’avvocato François Membrez, che rappresenta gli autori della denuncia, ha precisato che il procedimento riguarda esclusivamente l’allentamento dei criteri di assistenza al suicidio deciso da Exit in occasione della sua assemblea generale del 2014. L’associazione presta ormai assistenza anche alle persone colpite da «pluripatologie invalidanti legate all’età». Secondo il legale, questo criterio non corrisponde alle norme dell’Accademia svizzera delle scienze mediche (ASSM): fin di vita imminente, cure alternative proposte e capacità di discernimento.«L’associazione agisce in modo illecito. E ha trattato questo dossier con leggerezza. Il desiderio di suicidio non dev’essere il sintomo di disturbi depressivi», ha sottolineato Membrez. Per l’avvocato, le norme dell’ASSM sono vincolanti. Vi si riferiscono la legge sui prodotti terapeutici – che regola la prescrizione della pozione letale di pentobarbital -, il Tribunale federale in una decisione volta a proteggere il paziente contro gli abusi, nonché la legge vodese sull’assistenza al suicidio.

“L’uomo è ancora vivace”

Gli autori della denuncia criticano pure il modo con cui Exit ha analizzato la situazione dell’ottantenne: l’associazione riconosce che l’uomo è ancora vivace e non in fin di vita. In una lettera, il vedovo riferisce tuttavia di sofferenze psichiche e fisiche «intollerabili». Al riguardo, Membrez deplora che l’anziano non sia stato visto da uno psicologo, nonché l’assenza di cure psicoterapeutiche.
Dati i legami che li uniscono con il fratello maggiore, i due fratelli autori della denuncia «hanno il diritto di fermare questo atto illecito», ha sostenuto l’avvocato.
Il legale di Exit, Yves Grandjean, ha invece chiesto alla Corte di respingere la denuncia mettendo in dubbio la legittimità dei due fratelli di impedire la morte del parente. Nella questione si affrontano ««il diritto di morire e il diritto all’affetto e il primo ha un peso molto più grande», ha dichiarato. Secondo il legale, le regole dell’ASSM non sono applicabili, in quanto non vincolanti: nel caso in esame l’assistenza al suicidio è quindi legittima. L’avvocato ha pure evocato la complessità della nozione di “fin di vita”. «A partire dagli 80 anni, la diminuzione delle capacità fisiche e le preoccupazioni che essa provoca devono permettere di morire con determinazione», ha dichiarato. Le capacità di discernimento dell’ottantenne non possono essere messe in dubbio: «siamo in presenza di un consenso informato da parte di questa persona, che ha il diritto di morire con dignità». La sua volontà – ha sottolineato – «è determinata e determinante».

La presidente della Corte renderà nota la sua decisione entro tre mesi al massimo. In questo lasso di tempo rimarrà in vigore il divieto impartito a Exit di fornire la pozione letale all’ottantenne.

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