Nell’anno che precede la morte, le spese delle casse malati sono molto più alte in Romandia e in Ticino rispetto al resto della Svizzera: le ragioni sono culturali.

Le spese relative all’ultimo anno di vita per le casse malattia sono tendenzialmente più alte in Romandia e nel Canton Ticino rispetto al resto della Svizzera. Lo rivela uno studio dell’Università di Berna di cui rendono noto i quotidiani Tages-Anzeiger e Bund. L’inchiesta, basata su 113.277 morti tra il 2008 e il 2010, prende in considerazione i dati delle sei assicurazioni con più affiliati, che coprono circa il 40% della popolazione.

I risultati indicano una differenza piuttosto marcata tra le regioni linguistiche. Tenendo conto delle dieci città più grosse della Svizzera, Losanna è la meno economica per le casse malattia, con un costo medio per paziente che raggiunge i 44.200 franchi. Seguono Ginevra (42.600) e Lugano (39.200). Berna e Zurigo, con rispettivamente 34.800 e 33.900 franchi, si trovano invece al quinto e al sesto posto della graduatoria, dietro anche a Basilea (36.400). La Svizzera orientale è la meno costosa: San Gallo (29.400) e soprattutto Winterthur (nel Canton Zurigo, 26.600) sono i centri urbani dove le assicurazioni spendono meno per i propri pazienti. A seconda delle regioni considerate dai ricercatori, la forchetta concernente i costi dell’ultimo anno di vita va da 8.140 a 57.100 franchi.

Il medico geriatra Franco Tanzi conferma che effettivamente certe differenze tra Svizzera latina e tedesca ci sono. In quest’ultimo caso «c’è più consapevolezza dell’ineluttabilità dell’evoluzione della malattia: medici e familiari sono quindi più pronti a discutere del tema e delle sue conseguenze», lo conferma anche l’esperienza del geriatra. «Da noi, la morte viene affrontata in maniera più difficile. Questo talvolta rende incompleto il quadro della malattia che si forma agli occhi della famiglia, che quindi preme con maggiore insistenza per ulteriori cure». Si può dire che la Svizzera romanda e italiana tendano ad essere più fataliste, spiega il dottore, affidandosi spesso al “finché c’è vita c’è speranza”, mentre gli svizzeri tedeschi sono più realisti, hanno meno pudore a parlare della morte e del grado di cure cui sono disposti a sottoporsi. «Certo, questo può portare ad accettare più facilmente anche il suicidio assistito, proprio perché si vuole in un certo senso avere padronanza della vita e della morte, visione che il cittadino “latino” condivide meno».

Gli autori dell’inchiesta non hanno voluto però precisare quali siano le zone agli estremi, al fine di evitare ripercussioni sui dottori che esercitano nelle aree in questione. La ragione all’origine di queste differenze non è chiara. Una causa è da attribuire al fatto che i prezzi e l’offerta dei servizi medici non sono uniformi all’interno della Confederazione, come sottolinea Radoslaw Panczak, uno degli autori dello studio. I ricercatori suggeriscono però che i fattori culturali rivestano un ruolo importante nella spaccatura fra Svizzera latina e quella tedesca a causa di un diverso rapporto diverso con la morte, il sistema sanitario e lo stato sociale.

Una seconda inchiesta dell’Università di Berna supporta questa tesi. In Svizzera francese per esempio, la probabilità di morire in un letto di ospedale è significativamente superiore rispetto alla Svizzera tedesca, dove invece la maggioranza delle persone trascorre l’ultimo periodo di vita all’interno di case per anziani e strutture medicalizzate. Nelle zone rurali inoltre, gli abitanti hanno la tendenza a morire nelle proprie abitazioni, abbassando le spese rispetto alle aree urbane, nelle quali si privilegia un’assistenza ospedaliera.

Secondo lo studio, i medici romandi sarebbero più inclini dei colleghi germanofoni a combattere con tutti i mezzi possibili dolori e sintomi, fatto che comporta un incremento dei costi. Di conseguenza, sono anche meno disposti a rispettare le volontà dei pazienti che esigono un trattamento minimo o non ne richiedono.

Interrogato dai due quotidiani sull’argomento, Ignazio Cassis (PLR), presidente della Commissione della sicurezza sociale e della sanità del Consiglio nazionale, ha affermato che le differenze constatate dallo studio non lo sorprendono particolarmente. Ha però sottolineato di essere meravigliato da uno scarto così ampio (sette volte tanto) fra la regione più a buon mercato per le casse malattia e quella più cara. Cassis ha a sua volta sostenuto l’ipotesi secondo cui i fattori culturali, più che le infrastrutture, abbiano influenza sulla questione.

(Giornale del Popolo)