Mutazioni inattese, problemi irrisolti, incognite che anziché diradarsi si moltiplicano: una ricerca su Nature accresce i dubbi sulla tecnica dell’editing genetico, e invita a frenare i test sull’uomo.

Centinaia di mutazioni genetiche inattese e tante polemiche: è l’esito di un piccolo studio appena pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature Methods. Si tratta di un esperimento di gene editing mediante Crispr-Cas9, la oramai famosa tecnica di “taglia e cuci” con cui è possibile modificare il Dna con una precisione e facilità mai viste prima, eliminando e/o sostituendo regioni molto precise del genoma. L’esperimento in discussione ha consentito di correggere un gene difettoso di due topolini, responsabile della loro cecità. Al tempo stesso però – e questa è la novità – il loro Dna modificato presenta mutazioni genetiche off target, letteralmente “fuori bersaglio”, cioè non volute, in numero molto superiore rispetto a quanto ci si aspettava. Nello studio è stato usato un controllo, per confrontare le mutazioni spontanee (in un topo sano) con quelle indotte dalla Crispr, che sono incredibilmente numerose (oltre 1.500 di ogni nucleotide, cioè della singola “lettera” del Dna, e più di 100 delezioni o inserzioni): dati che indicano un rapporto causa-effetto, da cui le preoccupazioni e le raccomandazioni prudenziali.
Gli autori spiegano che la differenza sta nella tecnica usata per analizzare il Dna “editato”: fino a quel momento si era andati a cercare solo le mutazioni nelle parti del Dna che ci si aspettava potessero essere modificate, anche se involontariamente, dalla Crispr, mentre nel lavoro appena pubblicato si è eseguita un’analisi molto più accurata e approfondita, andando a guardare l’intero genoma (Whole genome sequencing, Wsq).

Le mutazioni che non si attendevano

Per capirci, ricorrendo all’analogia con un’operazione di editing per modificare un testo scritto: supponiamo di sostituire, in un documento, la parola “veloce” con “rapido”. Facciamo eseguire l’operazione al programma di videoscrittura – cioè l’operazione di editing – e poi verifichiamo che l’operazione sia stata svolta correttamente, andando per esempio a vedere se, non volendo, parole simili siano state modificate in modo inappropriato – se “velocemente”, poniamo, è diventata “rapidomente” (nel qual caso chiederemmo al nostro programma di editing di modificare solo la parola indicata e non quelle che la contengono). Proseguendo l’analogia, con questo studio anziché guardare solo le parole simili gli autori dell’editing sono andati a controllare tutti i singoli termini del documento, e hanno trovato che molto spesso sono state sostituite o spostate singole lettere o sillabe (per esempio la sillaba “ve” in molte parole è sostituita con “ra”, per cui anziché “vediamo” troviamo “radiamo”).
I topolini, nonostante le mutazioni rilevate, sembrano sani e normali, il che non esclude possibili conseguenze nel futuro, per esempio che alcune di queste mutazioni indotte scatenino forme tumorali. Gli autori hanno ribadito la necessità di usare questo tipo di analisi del genoma, il Wsq, per poter rilevare tutte le mutazioni effettivamente indotte dall’editing genetico, anziché l’algoritmo utilizzato finora per esaminare solo alcune parti del Dna, perché «questi algoritmi predittivi sembrano funzionare bene quando Crispr è eseguita su cellule o tessuti in vitro, ma finora non è stata mai utilizzata l’intera sequenza del genoma per cercare tutti gli effetti off-target negli animali vivi”». Alexander Bassuk, uno dei co-autori, ha spiegato che negli esperimenti in vitro ha senso andare a cercare solo le mutazioni attese mentre per quelli in vivo vanno usati metodi più potenti, come il Wsq. Una differenza sottolineata fin dal titolo del lavoro «Unexpected mutations after Crispr-Cas9 editing in vivo», «Mutazioni inattese dopo l’editing Crispr-Cas9 in vivo».
E un altro co-autore, Stephen Tsang, ha messo il dito nella piaga quando ha chiesto, provocatoriamente che «forse Usda (il Dipartimento dell’agricoltura Usa) e Fda (l’agenzia di farmacovigilanza americana) dovrebbero richiedere il nostro metodo prima di approvare la Crispr nel cibo e negli esseri umani».
Stanno partendo, infatti, i primi trial su esseri umani – imminente in Cina, l’anno prossimo negli Stati Uniti – con queste procedure di gene editing. Facile immaginare l’effetto della pubblicazione della ricerca, che comunque è stata molto criticata all’interno della comunità scientifica, soprattutto per la scarsa rappresentatività del campione: solo due i topi modificati con gene editing, solo uno il topo di controllo.

Gli esperimenti su embrioni umani

Ovviamente, come sempre, i risultati pubblicati devono essere replicati e confermati per essere condivisi dalla comunità scientifica. Sarà quindi interessante seguire la discussione: alcuni ricercatori del settore hanno già annunciato interventi critici a breve. Nell’attesa, sarebbe bene almeno evitare di ripetere l’errore fatto con le cellule staminali embrionali umane, cioè praticare il discutibile sport degli annunci a effetto, delle terapie miracolose e risolutive dietro l’angolo. Quando si scrive, per esempio, che il gene editing è stato applicato su embrioni umani per renderli resistenti al virus Hiv l’informazione va completata precisando che i risultati hanno mostrato la totale inefficacia della tecnica. Così come leggere quanto dichiarato da Edoardo Boncinelli, che «il prossimo passo potrebbe essere la modificazione della linea germinale» (ovociti e spermatozoi), come se tutti gli altri passi fossero già stati fatti con successo, fa pensare più a un oroscopo che a una considerazione su base scientifica.

(Avvenire)