Il bambino e la nascita sono il segno più chiaro della creatività e del rinnovarsi del mondo, della storia e la nostra partecipazione personale a questo è sorprendente. Questa creatività è iscritta da sempre nella relazione d’amore di due persone. Non sempre il desiderio di un figlio si realizza spontaneamente. Ci sono situazioni in cui sono necessarie cure. Ci sono anche delle situazioni rarissime in cui nella trasmissione della vita è compresa la possibilità di trasmissione di malattie gravi che colpiranno i figli con alta probabilità.

Dal 1978 con la nascita di Luise Brown, la prima bimba concepita in provetta, sono iniziate le cure che comportano la fecondazione fuori dal corpo della madre e la sostituzione del rapporto sessuale con il biologo e il suo laboratorio. In generale queste cure hanno un discreto successo che si situa, nei centri migliori, in media sul 30% di gravidanza a termine (quindi di un bambino per il 30% dei genitori che lo desiderano). I costi rilevanti di queste cure, nell’ordine di diverse migliaia di franchi, sono a carico di chi le chiede: nessuna copertura da parte della cassa malati e alti costi anche perché il figlio non lo avrà (70% dei casi).

La fecondazione in provetta, in tutte le sue forme, è sicuramente una soluzione interessante dal punto di vista tecnico ma presenta diverse ombre dal punto di vista etico. L’estrazione dell’embrione dal luogo naturale di inizio della vita lo ha messo a disposizione dello scienziato. Queste procedure hanno aperto la strada anche ad un uso dell’embrione umano come oggetto di ricerca e manipolazione. Finora la legislazione svizzera, pur non riconoscendo all’embrione dignità personale, aveva fissato una certa barriera protettiva che impediva la ricerca sull’embrione e il suo congelamento. Proprio per l’investimento umano e finanziario della coppia associato al desiderio di ottenere risultati sempre migliori che caratterizza anche giustamente la nostra medicina (c’è l’esigenza da parte di chi fornisce le prestazioni e da parte di chi le chiede di avere delle percentuali di successo sempre maggiori) è stata proposta una modifica della Costituzione che l’ha resa più permissiva.

Nel tentativo di aumentare i tassi di nascita per le coppie in cura la ricerca propone ora due tecniche nuove. La prima è l’impianto dell’embrione coltivato fuori dal corpo materno non per due ma per quattro-cinque giorni (blastocisti). Il costo di questa procedura è però il decesso di alcuni embrioni di cui è iniziato lo sviluppo ma poi si fermano, in parte per una debolezza strutturale, in parte perché le condizioni di sviluppo sono comunque diverse da quelle naturali: bastano infatti piccolissime variazioni del terreno di cultura in cui questa coltivazione si svolge per interferire profondamente nello sviluppo di questi piccoli embrioni.

La seconda tecnica relativamente nuova che si propone di aumentare il tasso di nascite da FIVET è la cosiddetta DPI o diagnosi genetica preimpianto. Si tratta di eseguire un esame genetico all’embrione prima di reimpiantarlo nell’utero. La biopsia dell’embrione asporta alla blastocisti una trentina di cellule e le sottopone a test genetico. Questo esame presuppone il congelamento dell’embrione in attesa del risultato dell’esame genetico. Verrà rimesso nella sua mamma dopo un mese o due se sopravvive alla biopsia e se sopravvive allo scongelamento. Si tratta di una tecnica sperimentale i cui risultati a breve termine sono controversi e a lungo termine sconosciuti. La diagnosi genetica preimpianto era finora proibita nel nostro paese ma è permessa in diversi paesi limitrofi. Un anno fa è stata accettata in votazione dal 60% dei votanti una modifica costituzionale che permette anche nel nostro Paese l’accesso alla DPI. Ma contro la legge di applicazione, che prevede tra le altre cose il congelamento degli embrioni e lo sviluppo di un massimo di 12 embrioni per ciclo, è stato fatto referendum e dobbiamo quindi ripensarci e rivotare. 

Questa nuova legge ha a mio avviso due grandi svantaggi nella sua formulazione attuale. Permettere lo sviluppo di 12 embrioni per ciclo non corrisponde al numero di bambini che in media una coppia desidera. Questa variazione della costituzione apre dunque la strada ad un numero maggiore di embrioni soprannumerari che verranno eliminati e svela l’intenzione di sottoporre gli embrioni umani a test genetici inutili e possibilmente dannosi.

La diagnosi preimpianto non viene proposta solo alle famiglie portatrici di malattie ereditarie genetiche diagnosticabili gravi ma si rivolgerebbe a tutte le coppie che non possono avere figli in modo naturale anche in assenza di fattori di rischio genetici solo per la selezione di embrioni con forse maggiori garanzie di sviluppo. Questo uso della diagnosi preimpianto nello screening estenderebbe una pratica di per sé eticamente già dubbia. In questo caso inoltre, la logica di questa modifica costituzionale è pericolosa: si basa su un’ipotesi e non su fatti. Questa ipotesi è posta in questione dall’esistenza nel 30% degli embrioni di una costellazione genetica non omogenea (il cosiddetto mosaico) per cui la diagnosi preimpianto eseguita su un’embrione costituzionalmente ancora instabile può portare a conclusioni errate (un embrione con un corredo cromosomico normale può portare allo sviluppo di un bambino normale e viceversa). Non mi sembra giusto ancorare nella costituzione l’uso di questo screening genetico preimpianto i cui risultati sarebbero errati nel 30% dei casi e porterebbero a conclusioni terapeutiche gravi e sbagliate. Non da ultimo il costo di queste procedure di nuovo rilevante nell’ordine di migliaia di franchi non è riconosciuto dalla casse malati in assenza di malattie genetiche famigliari e cade dunque di nuovo sulla coppia che vi fà ricorso. Si tratta di tecniche sempre più sofisticate e molto care e gli embrioni così esaminati se sopravvivono e la gravidanza continua devono poi essere in ogni caso riesaminati nel corso della gravidanza perché è richiesta comunque una conferma della validità dei risultati ottenuti prima dell’impianto.

La tentazione di ricorrere a tutto quello che offre la tecnica è grande. L’industria sostiene la ricerca ed ogni piccolo progresso viene venduto prima di avere la certezza della sua innocuità. Quello che poi mi disturba è l’idea che le persone vengano divise dal concepimento in chi può vivere e chi no mentre l’accoglienza di un figlio comporta il desiderio di percorrere con lui la strada della vita nel bene e del male verso una realizzazione che per fortuna non dipende solo da noi.

Dr. med. Linda Leidi, ginecologa