Qualche giorno fa ho ricevuto una telefonata dal farmacista cantonale, preoccupato per me. La RSI voleva realizzare entro sera un servizio per il Quotidiano su un mio errore medico sanzionato con una condanna per lesioni gravi. Il farmacista cantonale ha seguito la vicenda dall’inizio e ha fatto un lavoro enorme, partendo dal mio errore, per evitare che questo possa ripetersi in futuro. Così ha risposto al giornalista: «Va bene per il servizio, ma dovete dire che è una buona notizia, non una cattiva notizia», poi ha voluto coinvolgere il diretto interessato. Io ho pensato di non tirarmi indietro, perché se questa intervista non voluta toccava proprio a me, poteva essere l’occasione per una testimonianza.

Ricordo monsignor Corecco dire in un’intervista con Michele Fazioli di sentirsi a volte più utile da malato che da sano. Così anch’io mi sento a volte più utile con l’errore che ho commesso rispetto a quando tutto andava tutto liscio. Ho vissuto questo periodo come un’occasione per imparare a stare dentro un errore a crescere anche di fronte ai miei bambini in questo compito non facile. Non essendo abituato alle interviste, stanco e impreparato non sono riuscito a dire tutto quello che mi stava a cuore. Le testimonianze efficaci mi vengono infatti sempre quando sono in giardino da solo il fine settimana, non davanti alle telecamere. La sera in cui il Quotidiano andava in onda mi vergognavo un po’ ad andare in giro; avevo l’impressione che tutti mi guardassero in modo un po’ strano. Adesso mi sento più tranquillo e ho il desiderio di riprendere quello che mi sta più a cuore.

Partendo dall’inizio. Alla fine dell’anno scorso ho dato a una paziente una ricetta per Methotrexat, farmaco che si prende sempre una volta alla settimana. Nella ricetta ho indicato per errore una posologia giornaliera che ha causato una grave intossicazione. Quando sono stato informato dell’errore, ho provato un senso di smarrimento: «Da solo non ce la faccio, è troppo grande per me, ho bisogno di aiuto». Poi ho cercato di fare quello che consiglio ai miei bambini quando sbagliano: ammettere l’errore, assumersi la piena responsabilità, scusarsi, fare il possibile per rimediare. Ma strada facendo ho capito che c’è molto di più. Ho imparato a stare dentro questo tempo che mi era dato da vivere, a guardare e godermi tutte le cose belle che sembravano succedere in risposta al mio errore. Ho iniziato a vivere più intensamente tutti i rapporti e a essere molto riconoscente per tutto quello che ho: il rapporto con Dio, tante persone che mi sono vicine, un lavoro utile, lo splendore della natura e anche avvenimenti piccoli nella mia giornata, di cui capivo meglio la portata. Faccio qualche esempio di qualcosa di bello che è capitato subito dopo il mio errore.

Quando ho ricevuto la notizia dell’intossicazione ho sentito il bisogno di scendere a fare una preghiera nella cappella della clinica dove lavoro. La cappella è sempre vuota a quell’ora ma quel giorno un prete di una parrocchia vicina, che non è mai in clinica, passava di lì per caso. Così ho potuto confessarmi (non perché sia un peccato sbagliare le ricette ma per essere più pulito, riconoscere il mio bisogno di essere aiutato e trovare la forza di vivere quella circostanza).

Poi ho fatto visita alla paziente e le ho detto che quanto stava succedendo era per colpa mia. Lei mi ha accolto con dolcezza, mi ha guardato con uno sguardo benevolo un po’ come una mamma che è un po’ delusa da una marachella del figlio ma con gli occhi dice che gli vuole comunque bene. È nata un’amicizia anche con il figlio della paziente. Ci siamo sentitif tutti i giorni durante il ricovero della madre a anche dopo. Domenica scorsa il figlio ha voluto condividere con la mia famiglia la sua grande passione per il volo e ha fatto salire sul suo aliante a uno a uno tutti i miei bambini. Generosità non evidente nei riguardi di chi ha quasi ucciso la propria madre.

La mia famiglia e i miei bambini hanno capito benissimo quello che stavo vivendo e mi hanno sostenuto. Alla sera, facendo insieme la preghierina, c’era sempre qualche bambino piccolo che si ricordava di chiedere: «Gesù fai guarire la paziente del papà» e anche: «Gesù fai che il papà non sbagli più le ricette». E così è stato finora. Sono stato accolto con umanità e solidarietà dai funzionari di polizia, dal medico cantonale e dal farmacista cantonale. Molti mi hanno detto «anche noi sbagliamo ma spesso le conseguenze sono meno gravi». Ho raccontato quello che è capitato in un primo tempo ai colleghi che fanno il mio stesso lavoro e ho ricevuto da chi mi è più vicino professionalmente un sostegno commovente. Ho scritto un articolo su Tribuna medica e ho ricevuto moltissimi gesti di simpatia e di stima. Lo stesso è capitato dopo l’intervista. Ho perfino trovato più bello ogni fiorellino del giardino e ho pensato intensamente a chi è in prigione e non li può vedere.

Ho provato, e provo tutt’ora, una solidarietà molto più vissuta con chi ha sbagliato. Quando leggo di qualcuno che deve scontare una pena penso “poveraccio” e mi sento male per lui. Non ho più nessuna voglia di rincarare la dose con un mio giudizio sprezzante.

Mi è capitato anche che qualcuno confrontasse la mia posizione con quella di altri medici di fronte all’errore. Qui penso sia importante fare attenzione perché è facile mettere alla gogna qualcuno e rovinargli la vita. Uno può sbagliare anche nella gestione dell’errore e il confine tra il bene e il male è molto stretto. Può sembrare banale ma vale la pena riflettere a come noi stessi vorremmo essere trattati quando sbagliamo. Papa Francesco ce lo ricorda a ogni occasione. In questa circostanza mi sono immedesimato di più in chi ha sbagliato gravemente.

In ogni atto umano prima o poi può capitare un errore. Io ho vissuto sulla mia pelle che la mia posizione dentro l’errore è importante. Se da soli siamo bravissimi a fare disastri, lasciando fare a Dio e chiedendo aiuto a chi ci è vicino possono accadere cose grandi. Come dopo una catastrofe naturale o dopo una guerra, tanto più è grande il male accaduto, tanto più si vede fiorire intorno una risposta di solidarietà, una risposta di bene. Il male mette in moto le forze del bene, coopera al bene così che ogni circostanza possa essere vissuta come positiva. Quello che è capitato mi ha aiutato a capire che la mia consistenza non è nell’essere infallibile ma nei rapporti veri, in tutto quel bene che ti tiene in piedi anche quando nella vita tutto sembra andare storto.

Andrea Badaracco