Nel corso del primo meeting PAL-LIFE, organizzato dalla Pontificia Accademia Pro Vita e tenutosi a Roma i giorni 31 marzo e 1 aprile 2017, gli esperti presenti hanno offerto una descrizione della diffusione delle cure palliative (CP) nel mondo, mettendo in luce soprattutto opportunità e barriere ad una maggiore diffusione e implementazione delle stesse nei vari contesti geografico-culturali.
Anzitutto, vi è una diffusione non omogenea delle CP, anche all’interno delle singole aree geografiche. Di fatto sono molteplici i fattori che condizionano lo sviluppo delle CP, al di là di quello tradizionalmente considerato più significativo, come il fattore economico (Sr. Yong). In Europa, ad esempio, cui probabilmente si deve riconoscere il miglior livello di sviluppo delle CP, ha svolto un ruolo cruciale la combinazione di figure carismatiche in grado di promuovere la specificità e il valore delle CP nel proprio contesto socio-culturale di appartenenza e la capacità di tale contesto di recepire e tradurre prontamente in programmi di formazione e di ricerca la “novità” offerta dalle CP (C. Centeno).
Nei Paesi in via di sviluppo, l’impegno delle chiese e delle associazioni caritatevoli nell’ambito dell’assistenza sanitaria e dell’educazione, si traduce in una delle principali opportunità per la diffusione e sviluppo delle CP. In alcuni contesti, il capitale sociale costituisce ancora una risorsa a cui poter attingere per sostenere attività a favore delle categorie più deboli della popolazione. In Africa, ad esempio, ciò ha dato luogo a modelli di erogazione delle CP che si “creano” in loco, in maniera originale rispetto ai modelli importati da altri Paesi (E. Luyirika). La cooperazione internazionale può offrire delle opportunità nei Paesi in via di sviluppo. Ad esempio, la particolare sensibilità del Regno Unito nei confronti delle CP, ha favorito il loro inizio e sviluppo anche nei Paesi africani anglofoni (E. Luyirika). Ad ogni modo, anche nelle aree in cui le CP sono meno sviluppate o iniziano appena ad essere presenti, l’iniziativa di alcuni diviene un’opportunità per gli altri, secondo un effetto “palla di neve” (E. Bruera).
Complessivamente, la Risoluzione 67/19 emanata dall’Assemblea Mondiale della Salute nel 2014, dichiarando le CP come parte essenziale dei sistemi sanitari, muove un importante passo nella direzione dell’implementazione delle CP da parte dei governi degli stati membri (M. Rajagopal).
Il maggior ostacolo allo sviluppo delle CP – a livello globale – è la mancanza di consapevolezza della loro esistenza e specificità. Una “ignoranza” che tocca tutti gli attori sociali, dai comuni cittadini, ai media che danno informazione sui temi di fine vita, agli stessi professionisti della salute e dirigenti ospedalieri, fino ai governi.
Un primo ostacolo è già presente all’interno della comunità medica che non sempre “intende” la natura e il valore delle CP. Sempre più chiusa in un approccio scientista, la medicina contemporanea legge l’approccio olistico al paziente, la speciale rilevanza che le CP riservano alla cura psicologica, sociale e spirituale dell’infermo e della sua famiglia, come una sorta di “buonismo”, certamente possibile, forse umanamente lodevole, ma non essenziale alla medicina clinica. La CP vengono in questo modo “trivializzate” (E. Bruera). Da qui le molteplici resistenze da parte di molti colleghi a lavorare per una integrazione delle CP nei percorsi di cura che offrono ai loro pazienti. Non meno ostacoli vengono posti dai direttori generali e manager ospedalieri, che adottano come modello per l’azione la logica economicista che si basa sulla “produzione di salute” come bene misurabile. Naturalmente, nella prospettiva del puro calcolo, qualsiasi tipo di assistenza offerta al malato inguaribile e terminale è di per sé un “cattivo investimento”. Nella prospettiva dei manager della sanità, dunque, le CP costituiscono una fonte di costo difficilmente giustificabile per il semplice fatto che sono destinate ad un paziente la cui prognosi non è la guarigione, ma la morte.
In molte società, le CP patiscono anche un’incomprensione culturale, seppure per ragioni diverse. In alcune culture vi è una resistenza all’utilizzo di antidolorifici oppiacei dal momento che tale impiego viene frainteso e i possibili effetti collaterali assimilati all’eutanasia. In altri casi è un cattivo uso degli interventi a disposizione delle CP (ad es. la sedazione profonda) che facilitano l’equivoco. Disinformazione e ragioni economiche stanno alla base di una generale insensibilità dei governi nei confronti delle CP, comune a tutte le aree del mondo, e che è responsabile della scarsità di finanziamenti che generalmente i governi sono disposti a mettere in gioco a favore delle CP (D Mosoiou).
È dunque prioritario vincere queste barriere culturali che, dentro e fuori dalla medicina, negano i problemi a cui le CP vogliono rispondere e, quindi, il valore delle CP stesse, fino talora a tradursi in una franca ostilità, una sorta di “pallifobia” (E. Bruera).
In realtà un’altra potenziale barriera all’implementazione delle CP potrebbe provenire, se così si può dire, dalle CP stesse ed è il pericolo che esse perdano parte della loro specificità, come ad esempio l’attenzione olistica alla persona, per concentrarsi sull’aspetto sintomatico organico e dimenticando ciò che nel paziente è intangibile (C. Centeno). Questo pericolo già si intravede quando si considerano i temi della spiritualità come un aspetto della ricerca complementare e non primario (Ch. Puchalski). L’accompagnamento spirituale rappresenta invece un elemento irrinunciabile dell’assistenza al malato grave e terminale: per molti di essi, infatti, la priorità alla fine della vita è di essere in pace con Dio e di pregare (E. Bruera), mentre quando lasciati in una situazione di sofferenza spirituale più facilmente richiedono l’anticipazione della morte.
In molti Pasi manca il riconoscimento formale e dunque l’adeguato sostegno all’attività delle CP da parte di governi e società, ma anche nei Paesi dove tale riconoscimento esiste, esso è spesso “pallilalia” (E. Bruera), un “parlare” cioè che assume un carattere puramente formale e rimane del tutto inefficace sul piano pratico della implementazione delle CP.
Alcuni aspetti accomunano invece le realtà dominate dalla povertà e dove le CP sono meno sviluppate. Un problema primario in molte aree geografico-culturali, ad esempio, è il limitato accesso ai farmaci oppiacei per il trattamento del dolore (S. Alsirafy). Le difficoltà sono le stesse che hanno caratterizzato i Paesi sviluppati nei decenni passati: il timore di indurre nel paziente una dipendenza da consumo di oppiacei, il timore di causare una morte anticipata, la difficoltà da parte di un operatore sanitario non specializzato di maneggiare con sicurezza i farmaci oppiacei. Per tali ragioni le politiche governative sulle cure palliative, anche quando presenti, non trovano ancora attuazione. Il risultato, però, è che in queste realtà risulta terribilmente penoso morire (in India, ad esempio, il 20% dei suicidi viene commesso nel contesto di una malattia cronica) (M. Rajagopal).
Una caratteristica che sempre più accomuna i Paesi in via di Sviluppo ai Paesi Occidentali, è che il capitale sociale, un tempo risorsa importante, si sta quasi completamente sgretolando. Questo spalancherà le porte, socialmente e culturalmente, all’eutanasia che proprio nella debolezza del prendersi cura di molte società trova uno dei principali fattori favorenti (K. Pettus).
La mancanza di una forza lavoro specializzata risulta essere un fattore limitante lo sviluppo delle CP a livello globale (Sr. Yong). Tuttavia, soprattutto per i Paesi dove le CP sono meno sviluppate è prioritaria la formazione di personale sanitario specializzato, anche attraverso i programmi di cooperazione internazionale per la formazione medica (L. De Lima). Rimane vero, d’altro canto, che molti Paesi sono dipendenti da aiuti esterni per molti aspetti del welfare e, pertanto, anche per lo sviluppo delle CP (E. Luyirika).
Anche a fronte di questo panorama non scevro di ostacoli, la comunità scientifica delle CP si mostra però fiduciosa del fatto che, laddove essa per prima cercherà di incarnare il cambiamento auspicato, questo sarà il fattore determinante del cambiamento anche nella cultura medica e nella società di riferimento (M. Rajagopal).
(Pontificia Accademia Pro Vita)