Il prossimo 14 giugno il popolo svizzero sarà chiamato a pronunciarsi su una modifica costituzionale che allenterà le norme in materia di fecondazione assistita e, tra le altre cose, consentirà il congelamento degli embrioni e la diagnosi preimpianto (DPI).

Il tema è tra i più delicati che si possano immaginare e interroga in modo profondissimo la coscienza di ciascuno. La comunità umana deve riconoscere la sofferenza delle coppie che si scoprono sterili; il Catechismo lo fa senza perifrasi, citando il grido disperato di Rachele al marito Giacobbe: “dammi dei figli, se no io muoio!” (Gn 30, 1). La riduzione della sterilità umana è quindi un obiettivo nobile, che anche la Chiesa incoraggia, a condizione che siano rispettati i diritti della persona umana (Catechismo, n. 2375).

La revisione costituzionale in votazione il 14 giugno contiene purtroppo tante e tali violazioni della dignità umana da renderla eticamente inaccettabile. Il punto più controverso è l’introduzione della DPI, ovvero la possibilità di effettuare degli esami genetici sugli embrioni concepiti tramite la fecondazione artificiale per individuare delle malattie o delle malformazioni.

Lo scopo finale di questi esami è di eliminare gli embrioni “malati” ed evitare che siano impiantati nel grembo materno. Inutile essere ipocriti: ogni genitore desidera un figlio sano e preferirebbe evitare malattie e malformazioni.

Si tratta di un desiderio certamente legittimo, al quale non può però corrispondere un (preteso) diritto di eliminare i nascituri malati, perché ciò comporterebbe di discriminare gli individui in base alla loro condizione fisica o mentale. Questo “diritto” alla discriminazione è peraltro destinato ad essere applicato ad altre caratteristiche del nascituro; in molti Paesi che hanno accettato queste pratiche, la diagnosi è per esempio oramai ammessa anche per determinare il sesso del nascituro.

Nella revisione in votazione vi sono altri aspetti problematici e moralmente gravi, comel’aumento (da 3 a 12) di embrioni che possono essere “prodotti” per ogni ciclo di fecondazione assistita. La conseguenza di questa modifica è che in Svizzera vi saranno decine di migliaia di embrioni in soprannumero, che diventeranno verosimilmente oggetto di “attenzione” (distruttiva) da parte della ricerca scientifica.

Già oggi v’è chi teorizza la creazione di “bambini salvatori”, ovvero embrioni selezionati appositamente per essere eventualmente utilizzati come donatori per un parente malato. Lo sviluppo della tecnologia apre poi la strada ad aberrazioni inimmaginabili fino a qualche anno fa, come lo svolgimento sistematico di DPI al fine di “debellare” certe malattie e malformazioni genetiche.

Queste derive sono l’inevitabile conseguenza di un’impostazione – culturale e giuridica – secondo cui il figlio non è più considerato un dono, ma viene concepito come un diritto, un “qualcosa” di dovuto che i genitori devono poter modellare come meglio credono, anche per scopi estranei al benessere del bambino.

Registro quindi con sorpresa e amarezza la decisione presa sabato scorso dalla maggioranza dei delegati del PPD svizzero di sostenere il testo in votazione il prossimo 14 giugno. Su questo genere di temi mi sarei aspettato che la visione cristiana dell’uomo – comunque ancora ben presente nel Partito – prevalesse su un certo utilitarismo.

La maggioranza della deputazione alle Camere federali, non a caso, aveva respinto questa modifica. Ciò dimostra che il lavoro di convincimento non deve essere effettuato tanto sulle cosiddette élites, quanto sulla cosiddetta “base”, che sembra più permeabile allo “spirito dei tempi”. L’esito di questo voto deve suonare come un campanello d’allarme e impone a tutti coloro – cattolici o meno – che si riconosco in una certa visione dell’uomo di impegnarsi a fondo affinché ogni vita umana sia tutelata e riconosciuta nella sua inviolabile dignità.

di Maurizio Agustoni (Vice presidente PPD Ticino)