Il commento di Mons. Valerio Lazzeri sulla richiesta di autorizzare la diagnosi pre impianto (DPI). «L’eliminazione anche di un solo embrione ritenuto non degno di continuare la sua corsa nell’esistenza non può essere un progresso per una società che voglia continuare a fare posto ai più piccoli e ai più fragili».
Il prossimo 14 giugno siamo chiamati a decidere sulla modifica dell’articolo costituzionale «relativo alla medicina riproduttiva e all’ingegneria genetica in ambito umano». La formulazione del quesito, tecnicamente ineccepibile, cela una grave problematica. Vale la pena perciò di richiamare l’attenzione degli elettori sul delicatissimo ambito in cui dovranno prendere posizione.
Si tratta, in concreto, di autorizzare un esame, detto «diagnosi preimpianto», che, nelle intenzioni, vorrebbe risolvere il dramma di quelle coppie che, non potendo avere i figli in modo naturale o essendo portatrici di gravi malattie ereditarie, non possono realizzare il loro desiderio di generare senza essere confrontati con la possibilità che il loro bambino o la loro bambina siano segnati da limiti o menomazioni di tipo genetico.
La modifica dell’articolo costituzionale in votazione si presenta così, da questo punto di vista, come la soluzione di un problema, la risposta puntuale a un’innegabile e per nulla sottovalutabile sofferenza. In realtà, essa apre una questione etica immensa, che dovrebbe far riflettere tutti coloro che hanno a cuore la dignità inviolabile di ogni essere umano a partire dal suo concepimento e in ogni fase della sua esistenza successiva.
È di per sé giusto che la ricerca medica persegua l’obiettivo di evitare al massimo la sofferenza umana, sia dei genitori che aspirano alla fecondità del loro amore, sia dei figli a cui occorre offrire il massimo delle opportunità di sviluppo e di realizzazione.
E tuttavia c’è un altro dolore, più profondo e universale, che occorre tenere in considerazione. Quello di tutte le persone umane che, nonostante tutti i progressi della scienza e della medicina, continueranno a nascere in condizioni geneticamente compromesse Ma anche quello di persone che, nate perfettamente sane, per varie ragioni (malattie degenerative, incidenti,…), non potranno mai più disporre di quella pienezza di risorse, fisiche e psichiche, che sono certamente una premessa, ma non una garanzia assoluta di poter vivere la vita che si vorrebbe.
Ora, chi ritiene accettabile la possibilità di selezionare l’embrione sano da impiantare nell’utero della madre, destinando gli altri all’eliminazione, dovrebbe tenere ben presente davanti a sé i volti e i nomi, magari di persone a lui profondamente care, che forse avrebbero potuto non esistere, se i loro genitori avessero dovuto scegliere il loro embrione tra altri meno fortunati geneticamente.
Si scoprirebbe allora il loro vero dolore, che spesso non è quello di chi non ha le possibilità che altri hanno, di chi non riceve sufficienti cure o di chi non può raggiungere la qualità di vita auspicata dalla maggioranza, bensì quello di non essere visti come persone, di non essere riconosciuti da uno sguardo di accoglienza incondizionata.
Così dire no alla modifica dell’articolo costituzionale in questione non vuole dire ignorare il dramma di molte coppie, chiudere la porta alla ricerca di possibilità di realizzazione del loro legittimo desiderio di diventare genitori di bambini felici e, per quanto possibile, dotati di ogni risorsa per riuscire nella vita. Significa piuttosto dire di sì alla speranza, sì alla possibilità di riconoscere a tutti, compresi i più vulnerabili e i meno fortunati dal punto di vista genetico, che sono già nati e comunque, nonostante tutto, continueranno a nascere, l’inviolabile diritto a esistere e a esprimere tutto il loro potenziale di vita, in pieno sole e non all’ombra del sospetto di non poter mai arrivare a quello standard di efficienza e di realizzazione che spesso è diventato l’idolo a cui sacrificare ogni cosa.
L’eliminazione anche di un solo embrione ritenuto non degno di continuare la sua corsa nell’esistenza non può essere un progresso per una società che voglia continuare a fare posto ai più piccoli e ai più fragili. Se passa il principio della possibilità di selezionare chi è degno di vivere, già prima della sua nascita, come ciascuno potrà essere sicuro della bontà intrinseca del suo essere venuto al mondo?
Si andrebbe verso una società costituita da individui che cercano disperatamente di dimostrare, a se stessi prima che agli altri, di essere degni di vivere, verso una giungla dove tutto viene visto in funzione del reddito e del potere, eliminando la gratuità come dimensione fondamentale della convivenza umana, verso un mondo dove, potendo essere accolti solo secondo criteri predeterminati, si finirebbe per amare con riserva qualsiasi persona.
di Monsignor Valerio Lazzeri, Vescovo di Lugano