È ciò che permetterà di decidere la nuova Legge sulla procreazione assistita.Siamo chiamati a votare una modifica della LPAM, che definisce in quali casi e per quali motivi sarà possibile effettuare la diagnosi preimpianto.
Un’altra votazione, a distanza di un anno, sulla diagnosi preimpianto? Ma non era già stata accettata dal popolo svizzero lo scorso 14 giugno? Come siamo arrivati a questo punto? Andiamo con ordine. Con il voto di un anno fa, la popolazione ha deciso di autorizzare in Svizzera la diagnosi preimpianto (ovvero la possibilità di sottoporre a esame genetico, prima del loro impianto nell’utero materno, gli embrioni ottenuti con la fecondazione artificiale).
In quali casi, per quali coppie, con quali eccezioni? Questa non era materia di discussione per il voto dello scorso giugno. Lo è diventata ora, perché una raccolta firme lanciata lo scorso autunno ha voluto contestare la modifica della Legge sulla medicina della procreazione (LPAM). Una legge già discussa e votata dal Parlamento prima ancora del voto del giugno 2015 e che – come sostengono i referendisti – è troppo permissiva e rischia seriamente di aprire la porta a derive eugenetiche inaccettabili.
In quali casi?
La nuova Legge sulla medicina della procreazione permette la diagnosi preimpianto principalmente in due casi: per le coppie portatrici di gravi malattie ereditarie (50-100 ogni anno) oppure per le coppie che non possono avere figli in maniera naturale (ovvero per tutte le coppie che ricorrono alla fecondazione artificiale, che sono sempre di più). Lo scopo è quello, nel primo gruppo di individuare gli embrioni malati e quindi di fare una selezione di quelli sani, nel secondo di scoprire eventuali anomalie cromosomiche (e di conseguenza impiantare nell’utero soltanto gli embrioni “sani”).
Se il Consiglio federale, nel suo progetto iniziale, era stato molto cauto (la DPI era permessa soltanto alle coppie portatrici di gravi malattie ereditarie, lo screening cromosomico rimaneva vietato e il numero massimo di embrioni sviluppabili per ogni trattamento era 8), il Parlamento è andato ben oltre (e questo è il motivo per cui è stato lanciato il referendum, appoggiato anche da persone che avevano invece votato «sì» lo scorso giugno): DPI estesa a circa 6mila coppie all’anno, permesso di svolgere test cromosomici, 12 embrioni sviluppabili per ciclo. In pratica tutti gli embrioni prodotti al di fuori dell’utero materno possono essere sottomessi a tutti i tipi di test genetici disponibili e selezionati.
Il numero di embrioni
Proprio il numero di embrioni prodotti per ciclo – oltre all’estensione delle tipologie di test (non solo per le malattie genetiche ma anche per le anomalie cromosomiche) e di coppie interessate – è ciò che fa maggiormente discutere. Per permettere la diagnosi preimpianto, infatti, occorre avere un certo numero di embrioni da analizzare. La normativa attualmente in vigore riguardo alla fecondazione artificiale permette di sviluppare al massimo tre embrioni per ciascun ciclo di trattamento, ognuno dei quali deve essere subito impiantato nell’utero materno. La modifica della legge prevede invece che possano essere sviluppati sino a dodici embrioni e che ne venga impiantato nell’utero anche uno solo (il che eviterebbe la possibilità di parti gemellari o plurigemellari). I rimanenti possono, se lo si vuole, venir conservati (congelati) in vista di un eventuale nuovo trattamento. Altrimenti vengono distrutti. Questo, come sottolineano i referendisti, è ovviamente inaccettabile. Gli embrioni sono esseri umani, vite umane. Distruggerne anche uno solo significa uccidere una persona. E l’idea di congelarne anche solo uno ha un che di terribile.
«Dignità violata»
La Conferenza dei Vescovi svizzeri, così come la sua Commissione di bioetica, si sono pronunciati più volte contro l’introduzione della DPI in Svizzera. «Autorizzare la DPI – hanno ripetuto anche recentemente – significa acconsentire a selezionare chi è degno di vivere e chi no». I Vescovi svizzeri hanno voluto sottolineare un paio di aspetti molto problematici della modifica della LPAM. Anzitutto, l’allargamento della pratica della DPI a tutte le coppie che ricorrono a una fecondazione artificiale porta «a un aumento esponenziale del numero di embrioni soprannumerari» e a decretare che «una malattia genetica come la Trisomia 21 giustifica la selezione», con conseguente stigmatizzazione delle persone che vivono in questa situazione di handicap. In secondo luogo, l’autorizzazione a crioconservare gli embrioni «tratta questi ultimi come un oggetto da conservare fino a quanto se ne ha bisogno, violando la dignità umana».
(Gregorio Schira / GdP.ch)