Spesso si considera la gravidanza solo come un fastidio. Il messaggio cristiano invece valorizza sino in fondo anche la sessualità. L’editoriale di Alessandra Zumthor sul GdP del 19.10.2016.

Partiamo da un dato di fatto: in Svizzera sempre meno donne sopra i trent’anni utilizzano la pillola anticoncezionale. Viene spontaneo chiedersi come mai ciò succeda, e se il dato di fatto non rappresenti l’ennesima conferma dei limiti della rivoluzione sessuale degli anni ‘60, venduta all’epoca come una liberazione, ma rivelatasi poi piena di contraddizioni, sia per le donne sia per gli uomini.

Prima osservazione pratica, legata anche al dato di cui sopra: si sono moltiplicati, negli anni, i casi di malori –anche gravissimi- che hanno colpito ragazze che usavano la pillola. Le case produttrici hanno cercato di correre ai ripari, ma il dubbio sulla sicurezza di questi prodotti farmaceutici ormai rimane (e forse spiega in parte l’uso che diminuisce).

Ma gli aspetti negativi della pillola non si limitano ai gravi problemi di salute possibili per le donne: ormai il contraccettivo ha reso normale per la coppia (quindi per donne e uomini) il fatto di chiudersi di fronte alla vita, il considerare la gravidanza solo un fastidio da evitare sul nascere. Ha quindi favorito il diffondersi di un atteggiamento di paura di fronte al fatto di vivere la sessualità fino in fondo, in tutti i suoi aspetti, compreso il fine ultimo (non il solo, ma l’ultimo) che è quello della genitorialità. Questo, se pensiamo all’umanità nella sua essenza più profonda, non è certo una liberazione o un progresso, ma semmai un regresso, un ripiegare verso gli aspetti più istintivi e primitivi dell’essere umano.

Una prospettiva di fronte a cui il messaggio cristiano offre invece un’alternativa, non per reprimere la sessualità, ma per valorizzarla in tutti i suoi aspetti più profondi, anche attraverso  una contraccezione responsabile e non affidata a una semplice (e pericolosa) pillola.

Altra osservazione: moltissime ragazze e ragazzine, sentite per strada, nei locali, in discoteca ma anche a scuola, tirano fuori atteggiamenti e linguaggi che una volta si sarebbero detti “da caserma”. Ragazze che non avrebbero nessun motivo per non sentirsi desiderate e corteggiate, e che però, per sentirsi “al passo coi tempi”, si trovano praticamente costrette a comportarsi in questo modo. In particolare dal punto di vista sessuale: ormai bisogna vantare esperienze di vario tipo e genere, il tutto il più precocemente possibile, se non si vuole apparire antiquate e fuori moda. Da parte loro anche i ragazzi stanno vivendo un’evoluzione opposta, quasi spaventati da tanta aggressività dell’altro sesso:divengono più insicuri, incerti del proprio ruolo, confusi.

Di nuovo: siamo sicuri che la presunta rivoluzione e liberazione sessuale abbia davvero portato a un progresso nel rapporto fra i generi, e nel modo in cui ogni genere vede e interpreta se stesso? Perché non riconsiderare la complementarietà fra uomo e donna come ci arriva dal messaggio evangelico (e da parte di chi lo interpreta in modo concreto nella vita di tutti i giorni) per reimpostare su basi più solide questo rapporto?

Terza e ultima osservazione: la società occidentale, post ’68, fa sempre meno figli. Di fatto la società e il mondo del lavoro sono in gran parte impostati non in funzione della genitorialità. Anzi: il mondo professionale tende a procrastinare maternità e paternità sempre più avanti nel tempo (sempre più vengono chiesti laurea, e specializzazione, e master, e vari stadi iniziali di carriera da cui è meglio non assentarsi), mentre a livello sociale è quasi dato per scontato che un giovane o una giovane abbiano diversi anni di “massima libertà” prima di mettere al mondo dei figli,  dimostrando di nuovo poca considerazione per la prospettiva di una sessualità aperta alla procreazione.

Tirate tutte le somme, sembra dunque che la famosa rivoluzione degli anni ‘60 abbia portato alla fine a un totale stravolgimento della sessualità. Una sessualità ridotta a puro istinto, dove la donna e l’uomo diventano merci “da utilizzare” per assecondare i propri bisogni. E dove la genitorialità viene completamente rimossa perché vista come una seccatura, un peso, in fin dei conti un male.

A questo torniamo a opporre l’alternativa cristiana, fatta propria d’altra parte anche da persone che si professano non credenti: una prospettiva che dà la voglia di giocarsi la vita fino in fondo, senza sopprimere i bisogni più veri dell’essere umano, che non sono e non possono essere soltanto quelli istintivi.