Con la lectio magistralis dell’Arcivescovo Card. Angelo Scola si è concluso Il Convegno La cura al confine – Le relazioni di cura tra incontro e cultura dello scarto, Seveso – Milano 27-29 ottobre 2016, organizzato da Medicina e Persona insieme con la Diocesi e in stretta la collaborazione con Caritas ambrosiana, che ha affrontato il tema del soggetto e delle relazioni di cura nell’odierna situazione socio-culturale, complessa e così profondamente mutata, nella quale le dimensioni dell’incontro accogliente e della cura delle persone sembrano smarrirsi.
La centralità e l’universalità del tema della cura della persona, le sue criticità nel contesto attuale che sempre più fatica ad affermare l’io come relazione con un tu e un noi, e quindi ad accogliere l’altro, le modalità possibili del suo declinarsi nelle specificità di funzioni e professioni della sanità e dell’assistenza e soprattutto nell’impatto con la molteplicità drammatica dei bisogni oggi emergenti rappresentano alcune questioni interdipendenti.
La proposta, elaborata all’interno del Progetto 2016 – Per una cultura dell’incontro e della cura e rivolta a chi opera in diversi ambiti clinici e assistenziali e a chi, come familiari e volontari, è coinvolto con i bisogni delle persone malate, apre per tutti una domanda sul soggetto e sul bisogno umano, per ripensare ora a come poter incontrare l’altro, mettersi in relazione, curare.
Il tema della cura chiede di approfondire aspetti che la stessa pratica quotidiana fa emergere, a partire dall’incontro sempre nuovo con l’altro in stato di bisogno come fonte di conoscenza e fondamento della relazione di cura e a riprendere come nucleo essenziale della professione tale relazione personale, che costituisce fattore decisivo dell’atto clinico e terapeutico, non in termini di buona intenzione, ma dentro il lavoro medico, chirurgico, riabilitativo, psicoterapeutico, assistenziale o sociale, ove sorprenderne la portata e le caratteristiche specifiche. Dall’altra parte l’esasperata tendenza alla ricerca del benessere individuale, quanto mai diffusa nella società, che si esprime nel culto narcisistico del corpo, alimenta l’illusione della ‘medicina del potenziamento’.
In realtà molti problemi, oggi riscontrabili, dall’eccesso di indagini diagnostiche all’estensione delle cure – ad es. dai trattamenti estetici alla grave disabilità, alle cronicità, fino ai ‘nuovi bisogni’ che emergono nei giovani o nei migranti – non sono più affrontabili con modelli di intervento rigidi e a prestazioni puntuali, se si vuole realmente assistere senza scartare chi è nel bisogno.
La cura è un percorso, implica che uno si muova e si rivolga a un altro stabilendo una relazione, che si svolge nel tempo e sconfina tra corpo e mente. La persona che incontra sofferenza e malattia si confronta con il timore di non poter guarire, tra fiducia nella cura e resistenze al cambiamento. L’operatore nel prendersi/aver cura di lei sfida anche il rischio di affrontare quello ‘scarto’ sotteso all’esperienza umana dell’imperfezione da accettare, del dolore, dell’angoscia.
Ogni uomo, provocato dalla malattia, si pone il problema del senso e mentre chiede di ritrovare il benessere domanda di essere accolto in una relazione di cura. Il curante incontrandolo cerca di rispondere all’attesa e insieme di trovare criteri e strumenti per una buona pratica, pur dentro la cultura attuale piena di regole ma relativista, medicalizzata ma ambivalente rispetto alla cura.
L’intervento dell’Arcivescovo su L’orizzonte ove si colloca la cura fa percepire tutto il valore di una riflessione non superficiale circa il significato del curare e le sue modalità attuative nei vari contesti, età, ambiti di lavoro. Resistendo ai rischi di abbandono della clinica, siamo consapevoli che il dono, l’offerta di una relazione può rappresentare l’inizio sempre rinnovato del percorso della cura. L’impegno sarà quindi diretto a rivalutare le relazioni di cura e di aiuto nelle diverse pratiche di salute e a formulare proposte perfettibili ma che offrano punti di riferimento per orientare l’intervento degli operatori, dei soggetti sociali, della comunità, delle istituzioni.
Grande interesse per ognuno avranno le possibili ricadute successive, specie negli ambienti ove si svolge l’esperienza quotidiana del rapporto con i pazienti, con i familiari, con le equipe curanti: la speranza così é di contribuire in positivo alla vita delle persone e ai loro legami costitutivi, nella prospettiva di farsi carico di un tentativo responsabile e crediamo essenziale per una vita buona.
(Giorgio Cerati / Medicina & Persona)