Sessualità come merce di consumo o come dono prezioso che, nella relazione personale, arricchisce se stessi e costruisce futuro per tutti? Risposta quasi scontata, da quando il mercato ha fatto proprio l’argomento nelle sue infinite declinazioni e anche un problema serio e complesso come la pianificazione delle nascite è stato trasformato in una guerra commerciale tra case farmaceutiche e industrie elettroniche.
Su Amazon si possono trovare una ventina di apparecchi digitali diversi per il controllo dell’ovulazione e per la regolazione della fertilità, mentre per aggirarsi nell’universo delle pillole anticoncezionali, tra quelle a diverso dosaggio ormonale, ad azione prolungata, a lento rilascio, sottocutanee e tanto altro ancora, non basta ormai più nemmeno una laurea in ginecologia. Ma a fronte di un’offerta contraccettiva così ampia e così capillare, i giovani continuano ad ignorare il problema se è vero che il 41% delle gravidanze nel mondo (circa 208 milioni l’anno) arrivano al di fuori di qualsiasi pianificazione e – soprattutto – il 25% dei giovani ha rapporti sessuali senza alcuna precauzione. Sono i dati diffusi in questi giorni da una delle maggiori industrie farmaceutiche mondiali, la Bayer che, con un sintetico ma significato dossier, ha lanciato l’allarme contraccezione.
Allarme, naturalmente, secondo il punto di vista di una grande multinazionale che ha come obiettivo non mascherato quello di promuovere i suoi prodotti. Ma, nel perseguire l’intento, delinea una situazione, analizza una serie di dati raccolti in modo scientifico e trae delle conclusioni. Che possiamo riassumere in questo modo: le giovani di oggi, le cosiddette millennial, sono disinformate su sessualità, riproduzione e contraccezione più o meno come lo erano le loro madri e le loro nonne. Ma la libertà sessuale sommata al pressapochismo e alla presunzione frutto dell’ignoranza gioca loro brutti scherzi – il dossier Bayer non usa naturalmente queste parole – e troppo spesso arriva una gravidanza indesiderata.
Se gli aborti non aumentano è perché le nostre millennial, a differenza delle mamme – le baby boomer– hanno a disposizione la cosiddetta ‘contraccezione di emergenza’, cioè la pillola abortiva (per non lasciarci invischiare nei tranelli dell’antilingua), e provvedono in tempi rapidi. La relazione ministeriale di cui parliamo nella pagina accanto, conferma un dato che il dossier già anticipava. La duplicazione delle vendite di EllaOne, appunto la pillola dei cinque giorni dopo, soprattutto dopo che si può acquistare senza obbligo di ricetta, è frutto proprio della dilagante inconsapevolezza delle giovani generazioni. Ma, come abbiamo più volte documentato, il ricorso frequente alla contraccezione d’emergenza può avere pesanti conseguenze sulla salute e, al di là degli aspetti etici, non dev’essere archiviato come prassi a cui ricorrere in modo superficiale.
Un quadro drammatico che, secondo il dossier, specchio della cultura dominante sempre più orientata dal patto di ferro mercato-medicinamedia, si risolve con «una scelta contraccettiva consapevole» in dialogo con il proprio medico. Più contraccezione insomma. Noi diciamo invece, più educazione, più scelte valoriali, più sforzi per dare ai ragazzi risposte di senso, non farmaci che vorrebbero risolvere il ‘problema’ senza però risolvere l’inquietudine che soffoca il cuore dei nostri ragazzi. E questo ruolo tocca per primo – e in modo insostituibile – ai genitori. Lo stesso dossier ci dice che le ragazze, nonostante internet, nonostante le pressioni mediatiche per medicalizzare le informazioni sessuali, si fidano in modo quasi esclusivo delle loro mamme. Il problema è che la maggior parte delle mamme dispone a sua volta di informazioni imprecise o approssimative. Il 51% ha dichiarato che a suo tempo «non possedeva informazioni necessarie per intraprendere una scelta consapevole».
Quasi la stessa sorte delle figlie che oggi, con una percentuale comunque ragguardevole, il 35%, rivela la stessa disinformazione. Ma un ragazzo, proprio su argomenti così intimi e delicati, desidera da un genitore informazioni ‘tecniche’ o una testimonianza di vita credibile e coerente?
(Avvenire)