Le recenti notizie sull’aumento di contagiosità di una nuova variante del virus responsabile del Covid-19 hanno dato ancora maggiore rilievo alla già scottante tematica dei vaccini. Pur senza compromettere l’efficacia dei vaccini, per quanto a oggi si conosce, l’ultima trasformazione del virus rende ancora più centrale la questione del loro impiego e della loro distribuzione.
Papa Francesco è intervenuto più volte sulla questione, sostenendo l’esigenza di evitare la ‘marginalità farmaceutica’. Essi vanno cioè resi disponibili e accessibili per tutti. Questa affermazione chiede non solo di sgomberare il campo da possibili obiezioni sul loro impiego, ma anche di individuare responsabilità e azioni concrete da intraprendere per realizzare questo obiettivo. Sul primo punto si concentra la Nota della Congregazione della Dottrina della Fede pubblicata ieri.
Il fatto che nella preparazione si utilizzi, anche se in fasi del processo non uguali per tutti, linee cellulari provenienti da feti abortiti «nel secolo scorso» (vedi introduzione della Nota) viene infatti talvolta portato come motivo per non fare uso dei vaccini. La Congregazione esclude, in sostanza, che l’uso di questi vaccini possa favorire il ripetersi del gesto che è all’origine di quelle linee cellulari. Cioè, con il linguaggio più tecnico che essa impiega: non si tratta di una cooperazione formale, ma piuttosto materiale e remota.
Certo, la valutazione morale dell’aborto volontario rimane negativa e ci si deve impegnare per cercare vie di produzione che impieghino altro materiale biologico.
Ma in mancanza di alternative (come sta avvenendo nelle circostanze in cui ci troviamo e per la gravità della situazione), l’uso di questi vaccini è lecito. Anche perché è in gioco non solo la salute personale, ma pure quella degli altri. Sugli aspetti che riguardano il più ampio contesto della salute pubblica, anche sul piano globale, si concentra il Documento del Dicastero per il servizio dello Sviluppo umano integrale e della Pontificia Accademia per la Vita, che viene pubblicato oggi. Il testo prende in esame l’intero ‘ciclo di vita’ del vaccino e, oltre agli aspetti già menzionati della ricerca e della produzione, esamina le implicazioni etiche di ogni passaggio, includendo la commercializzazione, l’approvazione, la distribuzione e l’accesso.
Ed evoca i princìpi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa (a partire dalla dignità umana, la solidarietà, la giustizia e la sussidiarietà), individuando linee di convergenza con i valori condivisi nella Medicina delle emergenze. Il Documento esorta alla collaborazione sia scientifica sia internazionale e a superare ogni logica di «nazionalismo vaccinale», che pone gli Stati in antagonismo per affermare il proprio prestigio e trarne vantaggio a scapito di altri Paesi più poveri.
Come ha detto il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità, la priorità dovrà «essere di vaccinare certe persone in tutti i Paesi piuttosto che tutte le persone in certi Paesi » (18 agosto 2020). È in questo contesto che il Documento ribadisce la responsabilità per ciascuno di vaccinarsi, ovviamente secondo le priorità definite dalle autorità competenti.
È in gioco, infatti, la tutela non solo della propria salute, ma anche di quella pubblica. Infatti, la vaccinazione riduce la possibilità di infettarsi anche delle persone che per vari motivi non potranno riceverla (per esempio in caso di terapia per un tumore) e del sovraccarico dei sistemi sanitari, evitando di ostacolare la fornitura delle cure abituali anche per altre patologie. Il Documento si conclude con «alcune raccomandazioni di azioni concrete, che possono mobilitare le istituzioni, le reti civili e anche quelle del mondo ecclesiale, al fine di contribuire a un accesso equo e universale al vaccino». In questo momento così drammatico sentiamo come comunità ecclesiale tutta la responsabilità di cercare le vie più adeguate per prenderci cura di tutta la Famiglia Umana: il Signore stesso ci indica quale sia lo stile da assumere venendo a nascere fra noi proprio nell’oscurità dei nostri momenti più difficili.
Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita